Alice

Alice e le ragazze di Mafuiane

Sono Alice Cadiman, ho 22 anni e ho sempre avuto una curiosità immensa nello scoprire culture e tradizioni diverse dalla mia. Sono nata in una famiglia multietnica e penso che questo mi abbia insegnato a vedere le differenze come punto di forza e non come un ostacolo. Fin da piccola mi è stato insegnato lo spirito di adattamento, l’accettazione delle differenze tra i vari individui e l’apprezzare tali differenze. Questo mi ha dato gli strumenti necessari per avere una visione del mondo aperta ed in ascolto. Da sempre sono appassionata di viaggi alla scoperta di nuovi orizzonti, ed ogni viaggio mi arricchisce a modo suo.

 

L’ultimo viaggio che ho fatto è stato nel bellissimo continente africano, precisamente in Mozambico, in un piccolo villaggio Mafuiane, ad un’ora di distanza dalla capitale, Maputo. Questo viaggio più che un viaggio di divertimento è stato un viaggio di scoperta a 360 gradi.

Ho deciso di partire perché sono sempre stata attratta dalla cultura africana, forse influenzata dalle mie origini, avendo mio padre originario della Repubblica Democratica del Congo. L’altra ragione sono invece gli studi che ho deciso di intraprendere, studi nell’ambito della cooperazione internazionale.

Sin da piccola ho sempre cercato di avere un atteggiamento aperto nei confronti delle altre persone e soprattutto disponibile ad aiutare. Per questo motivo ho deciso di seguire la mia indole e di sfruttarla per fare degli studi in ambito sociale ed internazionale.

Alice e i ragazzi di Mafuiane

L’esperienza a Mafuiane è stata il connubio perfetto tra la scoperta di una nuova cultura e il capire se la strada della cooperazione fosse giusta per me.

Sono partita con nessuna aspettativa, pronta ad accogliere tutto ciò che sarebbe arrivato, ma con una grande grinta e voglia di mettermi in gioco.

I primi quattro/cinque giorni sono stati difficili, non posso negarlo. Sono stata catapultata in una realtà completamente diversa dalla mia, in un paese di cui non parlavo la lingua, perciò facevo fatica a farmi capire al 100%. Ma la cosa che mi sorprese di più era che io non ero indispensabile come credevo di essere. Questa fu la cosa che mi fece realizzare quanto effettivamente ero influenzata dalla mentalità occidentale, dal white man’s burden.

Arrivando lì mi sono resa conto che nessuno mi stava “aspettando”, nessuno stava pregando l’arrivo di una figura come la mia, pronta ad aiutare, perché loro stanno bene nella loro quotidianità. Non sono alla ricerca disperata dell’aiuto esterno.

E’ stato un bell’impatto drastico iniziale che però mi ha fatto capire tante cose. Nei giorni a seguire ho relativizzato il mio sentire e mi sono data da fare per trovare il mio spazio nel villaggio, per cercare di porre l’attenzione dove nessuno lo faceva. Ed ho trovato subito quel mio tanto atteso spazio, erano i bambini.

Il villaggio è pieno di bambini per strada, vicino alle case, nelle vie del villaggio. Bambini lasciati a loro stessi che si occupano tra di loro e giocano con qualsiasi oggetto gli passi per le mani. Sono bambini pieni di energia, con un fuoco di curiosità che pochi hanno. Con l’aiuto di Sofia, la coordinatrice dei progetti di AUCI abbiamo pensato a cosa si sarebbe potuto fare con i bambini e siamo giunte alla conclusione che sarebbe stato ideale creare un club sportivo dopo la scuola. Così ho fatto, ogni giorno avevamo l’appuntamento fisso dopo scuola per giocare a palla, con il frisbee o con la corda.

 

È stato molto bello osservare come il loro sguardo nei miei confronti è cambiato nel tempo. Inizialmente ero la “nuova bianca” del villaggio, e poi piano piano sono diventata Alice, la loro amica, quella che dedicava tempo a loro e li faceva giocare. Ancor più bello era passare per le viuzze del villaggio e tutti quelli che mi incontravano sapevano che ero Alice, non mi chiamavano più “mulungu” (che significa bianco in Changana, la loro lingua nativa).

 

Inoltre ho avuto la possibilità di insegnare l’inglese a scuola alla settima classe, che corrisponde alla nostra seconda media. All’inizio era una classe di 60 alunni che pian piano si è ridotta, fortunatamente direi, ad una quindicina di persone.

Ho cercato di portare un metodo di insegnamento diverso dal loro, tutto improntato sul gioco, cosicché le informazioni non arrivassero in modo passivo. Ho visto netti miglioramenti da parte di tutti gli alunni che frequentavano le mie classi. È stata una bella soddisfazione.i ragazzi di mafuiane in classe

Con il passare dei giorni ho capito quindi che non serve essere indispensabile, ma basta dare importanza a chi fino ad ora non si è mai sentito importante.

Ho scoperto tante cose, tante credenze innate che abbiamo, tante cose su me stessa e sul mio spirito di adattamento, sulla loro cultura, su come funzionano le cose là e sul fatto che loro stiano bene nonostante le minori possibilità che hanno rispetto alle nostre.

È stata un’esperienza fondamentale per me anche perché affronterò i miei studi con una visione e consapevolezza diversa e più concreta rispetto a prima.

Ero partita con l’idea di dare tutto quello che avevo, invece più che dare ho ricevuto tanto. Inoltre, ho capito che sarebbe più opportuno dedicare periodi più lunghi di un mese in loco. Poiché quando ormai mi ero ambientata, era già ora di ripartire.

 

Ringrazio Cinzia, Rossella, Sofia, la parrocchia di San Frumenzio per avermi permesso di fare un’esperienza di questo tipo. Ringrazio invece Mafuiane e i bambini per avermi fatto provare le mille emozioni che ho provato.

Alice e le ragazze di Mafuiane